CUOLA E ADOZIONE
LINEE GUIDA, STRATEGIE PER L’ACCOGLIENZA, L’INSERIMENTO E L’INTEGRAZIONE DEL BAMBINO ADOTTATO.
Numerosa ormai è la presenza, nelle aule scolastiche italiane, di bambini adottati nazionalmente ed internazionalmente.
I dati parlano di 3185 adozioni internazionali nel 2006, con una crescita del 12% rispetto al 2005 ed un trend costante: dal 2000, infatti, in Italia sono entrati oltre 15 mila minori. A questi vanno aggiunti un migliaio circa di adozioni nazionali ogni anno. (Allegato 1 situazione Terni)
E’ importante che gli operatori della scuola possano essere in grado di strutturare una accoglienza e una didattica in grado di garantirne l’inserimento sereno armonizzando le loro storie con quelle del resto della classe.
Le associazioni e le istituzioni che si confrontano con le famiglie adottive raccolgono spesso segnali di disagio sui rapporti scuola-famiglia.
Gli stessi segnali di disagio provengono anche dagli operatori della scuola specialmente quando si hanno in classe uno o più bambini provenienti da una adozione.
Nella nostra Provincia abbiamo potuto constatare la presenza di alunni adottivi nelle diverse scuole dell’Infanzia, Primarie, Scuole secondarie di I e II grado.
Si è sentita, quindi, la necessità di creare un gruppo di lavoro che, dopo essersi confrontato, ha ritenuto opportuno stilare un “Protocollo di accoglienza per gli alunni adottivi”.
Tale documento potrà dare a tutti i docenti gli strumenti, gli spunti metodologici e didattici per affrontare così, serenamente, l’inserimento di questi bambini.
Questo documento vuole essere uno strumento di lavoro, che consenta a ciascun istituto scolastico di realizzare un’accoglienza “competente”, cioè che traduca il “clima”, gli atteggiamenti, le attitudini in criteri, indicazioni, dispositivi, atti, materiali ecc… allo scopo di facilitare l’inserimento degli alunni, che hanno vissuto l’esperienza dell’abbandono. Quale strumento di lavoro, può essere integrato e rivisto sulla base delle esigenze e delle risorse della scuola, al fine di migliorare l’inserimento e l’integrazione del bambino adotta
Perché il bambino adottato internazionalmente non è un bambino straniero. (Allegato 2);
Insegnanti di scuola dell’infanzia, scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado che abbiano già incontrato nella loro esperienza professionale bambini/ragazzi adottivi ma anche che, pur non avendone esperienza diretta, ritengano di voler riflettere sulle sfide creative e di crescita, personale e del gruppo classe, che la presenza di questi ragazzi rappresenta.
OBIETTIVI
Attualmente in Italia, non esiste una normativa che regoli l’inserimento scolastico del minore adottato. Molti istituti scolastici fanno così riferimento alle indicazioni del Ministero riguardanti i minori stranieri, non tenendo presente che trattasi di situazioni completamente distinte.
L’obiettivo principale del protocollo, è quello di:
PROTOCOLLO DI ACCOGLIENZA DEGLI ALUNNI ADOTTIVI
Gli insegnanti saranno tenuti ad essere informati dal docente referente, e ad avere colloqui con i genitori per conoscere il vissuto del bambino, per essere di supporto reciproco e per concordare insieme strategie educative.
Scuola dell’Infanzia – assegnazione dell’alunno alla sezione:
a) Le insegnanti della Scuola dell’Infanzia effettueranno, concordandolo con la famiglia l’inserimento nella sezione o classe più adeguata (anche se non di competenza), in base alle osservazioni e dopo aver constatato i bisogni relazionali, comunicativi e socio-affettivi (anno ponte scuola dell’Infanzia – Scuola Primaria).
Scuola Primaria – assegnazione dell’alunno alla classe:
a) Il bambino in adozione internazionale inserito all’inizio o durante l’anno scolastico sarà un’apposita commissione, designata dal Collegio dei Docenti, che constaterà le competenze socio affettive a valutare l’inserimento nella classe più adeguata, o scegliere un percorso a classi aperte.
b) I bambini potranno essere affiancati da mediatori linguistici, se ritenuto estremamente necessario, e se accettato dal bambino e famiglia. Si esclude l’iscrizione a corsi di lingua per stranieri.
PROPOSTE OPERATIVE
COSA | CHI | QUANDO | MATERIALI |
A) Richiesta di iscrizione | Segreteria | Primo contatto | |
B) Colloquio incaricato con i genitori e alunno. Raccolta delle informazioni | Dirigente/docente incaricato. | Primo appuntamento prima della formalizzazione dell’iscrizione | Acquisizione dati anche con schede informative predefinite (vedi Allegato 12) . Acquisizione della documentazione amministrativa: cittadinanza, nascita (chiarirsi quando esiste doppio cognome); schede sanitarie se esistono. |
C) Informazione a tutto il corpo insegnante della classe | Dirigente o docente incaricato | Prima che l’alunno sia accolto in classe. | Primo vocabolario, prime parole per comunicare. Supporto della famiglia. Solo se necessario, mediatore linguistico. |
D) Predisposizione di un programma educativo ad Hoc | Consiglio di classe | Inizio anno scolastico | Approccio metodologico del cooperative learning. e Life skills education Presentazione della classe (Allegato 13) |
AZIONI DA COMPIERE
Ci sembra utile suggerire alcuni criteri che, utilizzati con flessibilità, possono risultare utili nel sostenere i bambini nel complesso percorso di inserimento e frequenza alla scuola:.
RICORDARE CHE:
Le difficoltà che incontrano i bambini adottati al momento del loro inserimento nella scuola sono una conseguenza anche della mancanza di stimoli e di attenzioni in cui il bambino è vissuto nella sua prima parte di vita senza famiglia, o con famiglie con gravi carenze spesso inadeguate al loro ruolo educativo, o istituti poco apprezzati e deprivanti:
Scuola dell’infanzia: ritardi psicomotori, del linguaggio, della simbolizzazione; difficoltà di addormentamento e sonno; problemi di alimentazione; disturbi dell’attaccamento.
Scuola primaria: difficoltà di relazione/socializzazione e nell’immagine di sé; difficoltà nell’apprendimento della letto –scrittura; difficoltà all’astrazione e simbolizzazione; difficoltà alla concentrazione.
ERRORI DA EVITARE
OSTACOLI – PROPOSTE
OSTACOLI | PROPOSTE |
Scarsa diffusione di strumenti proposti per parlare di adozione a scuola | Allegati 6 e 7 |
Storia personale trattata nel modo tradizionale | Si suggerisce di NON proporre attività quali: la prima foto, l’albero genealogico, l’ecografia. Si propongono attività che raggiungano lo stesso obiettivo, rispettose di tutti e di ciascuno.(Allegato 11) |
Difficoltà della scuola ad operare una corretta accoglienza. | Si propongono due incontri, uno per l’accoglienza l’altro di monitoraggio in itinere, (all’interno del consiglio di classe) di confronto fra dirigente scolastico, corpo docente e rappresentanti delle famiglie. |
Carenza di materiale didattico che agevoli il riconoscimento dei bambini adottati in famiglie multietniche; | Allegato 14 – Bibliografia, Sitografia |
Libri di testo, raramente trattano l’adozione nel modo giusto; | Allegato 14 – Bibliografia. Sitografia |
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA Vedi allegato 14
ELENCO ALLEGATI AL PROTOCOLLO: SCUOLA E ADOZIONE
ALLEGATO 1 Adozioni nazionali e internazionali della provincia di Terni
ALLEGATO 2 “Perché un bambino adottato internazionalmente non è un bambino straniero” di Maria Linda Odorisio;
ALLEGATO 3 Un prima e un dopo di Anna Guerrieri e Monya Ferritti;
ALLEGATO 4 Carta dei diritti del bambino adottato;
ALLEGATO 5 Parole per la scuola/parole con la scuola di Anna Guerrieri;
ALLEGATO 6 Scuola e adozione a Terni di Anna Guerrieri;
ALLEGATO 7 Scuola e adozione punto di vista di GSD;
ALLEGATO 8 Al centro del fiore di Anna Guerrieri e Monya Ferritti;
ALLEGATO 9 “Apprendere non è sempre facile” di Anna Guerrieri;
ALLEGATO 10 Inserimento scolastico;
ALLEGATO 11 Immagine dell’albero, la ruota dell’io, il fiore e la rosa di Gerico;
ALLEGATO 12 Scheda acquisizione dati;
ALLEGATO 13 Un’esperienza di Life Skills Education; che cos’è il Cooperative Learning
ALLEGATO 14 Libri e immagini, bibliografia, sitografia
ADOZIONE E INTERCULTURA A SCUOLA
di Maria Linda Odorisio
Dal libro “A scuola di adozione “ : Un bambino adottato internazionalmente NON è un bambino straniero
Quando
a scuola arriva un bambino adottato internazionalmente si tende a
“confonderlo” con un bambino straniero tout court. E’ un’equivalenza
facile e spiegabile: a volte parla un’altra lingua, sicuramente proviene
da un altro paese e, spesso, è somaticamente diverso. Le analogie però
finiscono qui. Lo scopo del mio intervento, oggi, è quello di mostrarvi
come queste analogie siano del tutto apparenti e richiedano strategie
educative differenti e comunque una speciale attenzione.
Innanzi tutto non dobbiamo mai dimenticare che un bambino adottato è un bambino che è stato lasciato solo.
E’ un bambino che ha subito l’allontanamento traumatico dalla madre,
che non ha potuto sviluppare l’attaccamento, che non è stato
sufficientemente abbracciato, nutrito, contenuto, che ad un certo punto
della sua vita ha dovuto contare solo su se stesso. E’ un bambino che,
grazie all’adozione, ha trovato finalmente una famiglia, che sarà
impegnata nel corso di tutta la sua vita ad integrare due parti di sé,
il prima e il dopo. Per questo motivo le somiglianze con i bambini
stranieri che arrivano in Italia al seguito di uno o entrambi i genitori
sono solo superficiali.
Prendiamo ad esempio la lingua.
Un
bambino straniero ha una lingua madre in senso tecnico e simbolico, ha
infatti una madre, un gruppo familiare che parla la sua stessa lingua,
un lingua che è stata appresa tra le braccia di chi si è preso cura di
lui o di lei fin dalla nascita, è una lingua materna nel vero senso
della parola, conservarla, ha un senso profondo per l’identità personale
e culturale del bambino. E’ la lingua che gli servirà, un giorno, per
comunicare con i parenti rimasti nel paese di origine, o se vorrà per
tornare a vivere in quel paese, comunque per integrare al meglio le due
realtà che lo caratterizzano, quell’italiana e quella straniera. La
scuola dovrà accompagnarlo, per quanto è possibile, a diventare
veramente bilingue, facendo attenzione a non svalorizzare mai la lingua
originaria, chiedendo, per esempio ai genitori di non parlare in casa la
loro lingua.
Diversamente, un bambino adottato
internazionalmente, che arriva in Italia già grandicello, parla una
lingua che solo tecnicamente possiamo definire una lingua madre.
Naturalmente molto dipende dal momento in cui il bambino è stato
adottato e dalla sua storia: per quanto tempo è stato in istituto, se ha
avuto modo di passare i primi anni di vita con qualche famigliare. Come
sempre dobbiamo ricordare che ogni bambino è un caso a sé.
In ogni
caso una lingua appresa in istituto non è propriamente una lingua
materna perché non è una lingua emotivamente significativa, è una lingua
fredda, strumentale, povera. Non c’è ragione, per il bambino, di
conservarla e, infatti, i bambini stranieri adottivi perdono quasi subito la loro lingua
di origine, è giusto che sia così. Sono figli di genitori italiani,
l’italiano sarà la lingua famigliare, la lingua dell’amore, della
propria identità ritrovata, la lingua con la quale impareranno, piano
piano, a nominare tutti quei sentimenti e quelle emozioni che non hanno
ancora avuto modo di apprendere. Infatti, prima d’incontrare la propria
famiglia adottiva non c’è stato nessuno di veramente significativo
accanto a loro che abbia dato nomi a ciò che provavano, che si sia fatto
mediatore tra loro e il mondo, che, in altre parole, abbia fatto ciò
che ogni genitore fa quando insegna a parlare al proprio piccolo.
Anche se, come ho detto, i bambini dimenticano velocemente la lingua d’origine e apparentemente imparano subito l’italiano, ci vorranno anni prima che si possa dare veramente per acquisita la nuova lingua. Non
sarà un processo semplice e lineare, è stato calcolato che dopo un
rapido apprendimento di un livello che si può definire strumentale, ci
vogliono molti anni affinché si apprenda veramente una lingua. Non ci
dovrà sorprendere, allora, il fatto che, anche se è già passato qualche
anno dal loro arrivo in Italia, questi bambini presentino delle
difficoltà a ripetere la storia o la geografia, o troveranno difficile
capire i testi di un problema o ad esprimere correttamente ciò che
pensano. Come ho già detto, non si tratta di semplici difficoltà ad
apprendere un’altra lingua, a sovrapporre o ad affiancare una struttura
linguistica ad un’altra, difficoltà che possono essere comuni tra i
bambini stranieri. Nel caso dei bambini adottivi si tratta di difficoltà
legate ad una sfera più profonda, laddove le carenze di cura hanno
provocato delle carenze cognitive e affettive che si riflettono nella
sfera del linguaggio. Ciò che voglio dire è che attraverso
l’apprendimento di una lingua si apprende anche a pensare: pensare se
stessi e pensare il mondo. Ci sono circostanze, però come quelle
sperimentate dai bambini abbandonati in cui l’assenza di un adulto
dedicato interamente a quel bambino provoca in lui dei disturbi della
percezione del sé.
L’acquisizione e l’abilità espressiva
dell’italiano, quindi, andranno di pari passo con l’acquisizione di una
maggiore sicurezza emotiva. Le insegnanti possono aiutare molto
questi bambini se avranno la pazienza e la costanza di ascoltare le loro
difficoltà comprendendone l’origine.
Cultura
Spesso
capita di veder coinvolti, allo stesso titolo, bambini stranieri e
bambini adottati internazionalmente in progetti interculturali. Dobbiamo
fare attenzione.
I bambini stranieri sono portatori di una cultura
diversa da quell’italiana, in senso positivo, per loro sarà importante
integrare le due culture delle quali fanno parte ed è giusto che la
scuola stimoli, attraverso un’accurata didattica interculturale,
l’orgoglio per la propria provenienza culturale. Questo li aiuta non
solo a sentirsi accolti in quanto persone ma a sentire accolti
indirettamente anche i loro genitori.
Al contrario un bambino
adottato internazionalmente non ha una cultura d’origine in senso
stretto, le regole dell’istituto o la vita di strada non formano una
cultura da conservare in senso positivo. Spesso inoltre i ricordi legati
al proprio paese d’origine sono dolorosi e comunque segnati dalla
solitudine e dall’abbandono. Entrando nella sua nuova famiglia il
bambino ne acquisisce i modi, i ritmi, i rituali e quelli saranno, col
tempo, i veri elementi della sua cultura. Naturalmente questo non vuol
dire che si possa o si debba ignorare la sua origine, anzi proprio
perché è la sua origine va valorizzata ma in modo generico, ricordando sempre che l’adozione trasforma un bambino straniero in un bambino italiano.
Ricordargli in continuazione la sua origine diversa, anche se si fa con
le migliori intenzioni, può compromettere il suo pieno senso
d’integrazione. Coinvolgere un bambino adottato internazionalmente in un
progetto interculturale, chiedendogli ad esempio di ricordare poesie,
canzoni o di portare in classe ricette del suo paese d’origine può avere
un effetto controproducente. Il consiglio comunque è di concordare
sempre con la famiglia qualunque progetto: si può senz’altro trovare
insieme il modo di coinvolgere positivamente tutti i bambini senza farli
sentire troppo segnati dalla diversità.
In ogni caso parlare con
vero rispetto delle diverse culture presenti a questo mondo,
sottolineandone sempre gli elementi positivi, rintracciando tutti gli
apporti creativi che ogni cultura ha dato all’umanità, aiuta tutti i
bambini a vivere meglio e ad affrontare la novità e la diversità con
interesse e non con paura.
Un altro aspetto che spesso fa pensare
ai bambini stranieri e quelli adottati internazionalmente come ad
un’unica categoria è quello delle caratteristiche somatiche.
E’ vero, certamente, sia gli uni che gli altri , a volte, presentano
tratti somatici diversi ma dal loro punto di vista la cosa ha valenze
profondamente diverse.
Per i bambini stranieri quei tratti somatici
diversi possono anche essere motivo di prese in giro o di
discriminazione, ma sono al tempo stesso il segno forte di
un’appartenenza : assomigliano ai loro genitori, ai loro nonni, ai loro
fratelli. Quando come insegnanti interveniamo in casi d’intolleranza o
di razzismo nei loro confronti possiamo puntare a rafforzare in loro un
senso forte e positivo di appartenenza ad una famiglia e ad un gruppo
culturale.
Questo con un bimbo adottato internazionalmente, al
contrario, è più complesso. La sua differenza somatica è il segno più
evidente della sua filiazione adottiva e, in fondo, anche della sua
solitudine, il segno che per lui o lei non sarà, quasi mai, possibile
rispecchiarsi fisicamente in qualcun altro (a meno che non sia stato
adottato con dei fratelli).
Capita ai bambini adottivi colorati o con
tratti chiaramente non europei di venire catalogati dagli altri come
stranieri; frasi quali “tornatene nel tuo paese!” spiazza un bambino
adottivo che è già nel suo paese, lo ferisce più di quanto la stessa
frase possa ferire chi , come un bambino straniero, sa di avere, almeno
in teoria, un paese dove tornare.
Per evitare che le differenze
somatiche diventino la cifra dell’esclusione le insegnanti possono
aiutare tutti i bambini a guardare al mondo per quello che è. Un insieme
molto vario di persone colorate. Le insegnanti possono aiutare i bambini a leggere la realtà è insegnando loro ad uscire dagli stereotipi.
Mi piace ricordare a questo proposito l’esperienza fatta qualche anno
fa in una prima elementare. Nella classe c’erano bambini di tutti i
tipi. Quando qualcuno ha cominciato a sottolineare la diversità del
colore di qualche bambino le maestre hanno invitato tutta la classe a
mettersi in fila. Dal più chiaro al più scuro. Naturalmente ne è nata
una gran confusione perché i bambini discutevano, confrontando i colori
della propria pelle, su quale fosse il posto di ciascuno. E’ stata,
secondo me, un’esperienza semplice ed estremamente importante. Senza
paroloni, senza discorsi del tipo “siamo tutti uguali” è stato subito
evidente ai bambini come di fatto siamo tutti diversi, che anche
all’interno di ciò che siamo abituati a pensare come omogeneo ci siano
invece delle grandi diversità. E’ stato chiaro cioè che parole come
uguaglianza e diversità non esprimano concetti assoluti ma relativi, che
tutto dipende dal punto di vista con il quale si osservano le cose. E’
inutile dire che in quella classe nel corso degli anni successivi non ci
siano mai stati problemi di esclusione o di derisione basati sul colore
della pelle.
Prima di concludere questo mio breve intervento
vorrei farvi notare che esiste ancora un elemento che differenzia il
vissuto e l’esperienza di un bambino straniero da quello di un bambino
adottato ed è la famiglia.
Entrambi questi tipi di famiglie, quella straniera e quella adottiva, sono famiglie impegnate ad affrontare un complesso e delicato percorso d’integrazione: per la prima si tratta di un percorso d’integrazione con l’esterno, per la seconda di un percorso d’integrazione al suo interno.
La
famiglia d’immigrati deve, in un certo senso accompagnare il proprio
figlio a farsi diverso dai suoi genitori, senza però perdere il legame
vitale con la sua provenienza.
La famiglia adottiva, invece, compie
il percorso inverso: deve trasformare un estraneo, un bambino nato da
altri, in un figlio proprio, restituendogli l’esperienza di appartenere
unicamente a qualcuno.
Questi delicati percorsi d’integrazione
possono entrare in crisi se incontrano una scuola troppo esigente,
basata solo su standard d’apprendimento classici. Cosa si può fare,
allora, per aiutare queste famiglie?
Innanzi tutto vederne le
speciali caratteristiche e poi sostenendo i genitori. Solo se la scuola
si fa alleata delle famiglie, puntando sempre sulle loro risorse, si può
pensare di aiutare tutti i bambini a vivere più serenamente.
ALLEGATO 3
CULTURA PEDAGOGICI
A scuola sono sempre più numerosi i bambini adottati
che chiedono attenzioni e strategie mirate.
Che cosa fare, come impostare il rapporto con la famiglia.
Un prima e un dopo
Ogni anno in Italia si formano circa quattromila nuove famiglie attraverso l’adozionenazionale e internazionale. Le famiglie sono spesso di nuova costituzione e con scarsa esperienza del mondo della scuola; i figli adottivi sono bambini provenienti da realtà complesse con alle spalle storie difficili e l’inserimento in classe è molto delicato. Le strategie di accoglienza devono essere semplici e dettate dal buon senso, per questo è importante cercare di conoscersi e comprendersi a vicenda, genitori e insegnanti.
Nella quotidianità di una sezione della scuola dell’infanzia si fa riferimento spesso al concetto di famiglia; bisogna trovare il modo di riferirsi anche alla famiglia adottiva, per agevolare l’accoglienza di un bambino adottato senza dover ricorrere a soluzioni affrettate.
Per gli insegnanti ci sono alcuni libri che possono aiutare a veicolare ai bambini un primo significato di adozione
SENTIRSI a proprio agio
L’adozione viene spesso pensata come un gesto “d’amore” di due adulti nei confronti di un “bambino sfortunato”; in realtà scaturisce dal desiderio di due adulti di diventare genitori rendendosi disponibili verso bambini che vivono in stato di abbandono. Parlare di adozione significa fare i conti con quello che la rende necessaria e inevitabile: l’abbandono. Sono tanti i motivi dell’abbandono e non è bene ricorrere a facili giustificazioni. I motivi sono molto più complessi e sono tutti motivi di adulti, che non c’entrano niente con i piccoli. Soprattutto nella scuola dell’infanzia è importante
non sentirsi chiamati a “fare lezioni” sull’adozione e sull’abbandono, quanto a sentirsi a proprio agio con le storie dei bimbi, a viverle con naturalezza, a trovare dei modi per rassicurare tutti ogniqualvolta un bimbo possa trovarsi solo o in difficoltà. In ogni figlio
adottivo c’è un “prima” e un “dopo” e tra questi il ponte è l’adozione. In questo senso non ha rilevanza alcuna che un bimbo sia stato adottato alla nascita o qualche anno dopo. Il fatto di non esser nato dalla propria madre adottiva, ma di essere stato concepito da un’altra madre e poi di esserne stato lasciato, è un fatto con cui ogni figlio adottivo ha sempre a che fare nelle varie fasi della propria vita. Chiedere a un bimbo o a una
bimba adottati di disegnarsi nella pancia della mamma li costringe ad affrontare un nodo doloroso: loro sono nati da una mamma che non è più con loro, che non li ha tenuti in pancia. La maternità non è un fatto solo biologico, si è madri di bambini nati da un’altra
madre e che si incontra in una terra lontana. È importante dunque evitare progetti grafici, poesie, filastrocche o canzoni in cui la maternità appaia soprattutto come un evento biologico.
IL CONTATTO con le famiglie
A volte, proprio nella scuola dell’infanzia, vengono iniziati progetti sulla propria storia personale. È importante che le famiglie siano coinvolte affinché i genitori e i bambini possano vivere il lavoro con la giusta serenità. La prossimità alle famiglie è una delle risorse della scuola dell’infanzia ed è fonte di sicurezza per i piccoli, sicurezza importantissima per chi è appena arrivato e desidera condividere ricordi vividi. Le proposte
non devono escludere nessuno e devono rispettare il desiderio dei bambini di raccontarsi o no; per questo è bene mantenere i progetti sul “tempo” il più flessibili possibile. I bambini adottati possono essere in fasi diverse di consapevolezza sulla propria adozione: potrebbero avere un rifiuto totale e ostinarsi a voler credere che non sia accaduta, oppure essere ancora confusi.
ALCUNE STRATEGIE possibili
Ecco alcune possibili strategie per affrontare l’argomento della storia personale.
LA SCATOLA DEI RICORDI: a ogni bambino viene chiesto di procurarsi una scatola o un contenitore da decorare.
Dentro a ogni scatola saranno poi deposti oggetti personali legati a momenti importanti del passato del bambino. Ai bambini non verrà suggerito di portare foto o oggetti legati a momenti speciali (foto del battesimo, ciuccio ecc.), bensì di scegliere liberamente.
QUANDO ERAVATE PICCINI, COME SIETE ORA: può essere utile per far comprendere ai piccoli i cambiamenti della crescita e lo scorrere del tempo. Più che portare i bambini a ricavare un passato lontano, si possono ideare progetti che suggeriscano la rielaborazione di un passato vicino e controllabile; progetti centrati sul bambino più che sulla sua linea della vita. Non sempre è possibile chiedere a un bambino adottato di portare a scuola foto di quando è nato, o di quando la mamma era incinta, perché queste foto o non ci sono o fanno riferimento a un passato che ha bisogno di rielaborazione. La soluzione è lasciar liberi i bambini di portare “qualcosa di quando erano più piccoli” scelto da loro. Oppure lavorare attraverso i disegni. Certe foto narrano realtà che i bambini desiderano tenere per
sé. Un disegno, invece, è una produzione personalizzata che possono condividere coi compagni.
”
ALLEGATO 4
CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO ADOTTATO
Gallina, M., Pennavaja, A., “la Carta dei diritti del bambino adottato”, in I diritti del bambino adottato, Milano, 19 novembre 2007 – a cura di – Provincia di Milano, Direzione di progetto diritti, tutele e cittadinanze sociali, p.36.
a) 1. Ho diritto a crescere sicuro e protetto nella mia famiglia.
ho diritto a vivere la mia vita con genitori adottivi.
3. Ho diritto ad essere ascoltato, capito e aiutato da adulti capaci di cercare i genitori giusti per me, prima di tutto nel mio Paese.
4. Ho diritto a vivere in un posto sicuro e ad essere preparato ai cambiamenti, pochi e solo se necessari.
5. Tutti devono tener conto delle emozioni e dei pensieri che esprimo, e devono spiegarmi con parole chiare cosa mi sta succedendo.
8. Ho diritto ad avere nuovi genitori preparati ad amarmi e a crescermi come figlio, nato da altri genitori e arrivato da lontano.
9. La mia nuova famiglia deve essere capace di ascoltarmi e curarmi. Insieme costruiremo la nostra storia.
10. La nostra famiglia adottiva deve essere aiutata nella nuova vita ed essere accettata accolta da tutti.
11. A scuola tutti dovranno rispettare la mia storia e darmi il tempo che mi serve per crescere e per imparare.
12. Ho diritto di essere seguito a scuola da insegnanti preparati sull’adozione.
13. Ho tutti i diritti degli altri bambini ed ho diritto ad essere tutelato da ogni forma discriminazione legata alla mia diversità.
14. 1Posso continuare a incontrarmi con i miei familiari se ne ho bisogno e se anche loro sono d’accordo.
15. Quando sarò grande potrò chiedere di sapere chi sono i genitori che mi hanno fatto nascere.
ALLEGATO 5 Parole per la scuola/Parole con la scuola Di Anna Guerrieri Queste sono alcune frasi chiave e alcuni concetti che sono emersi durante i Laboratori didattici del Percorso “A Scuola di Adozione” tenuto a L’Aquila nei primi sei mesi del 2008. Questo foglio è una prima libera raccolta di impressioni. L’intento è di non perdere le parole dette. Verrà rielaborato col tempo. · Partendo dalla propria diversità si possono ascoltare gli altri e accogliere le loro diversità. Ci sono diversità che viviamo a livello umano e a livello professionale (l’insegnante di sostegno si sente spesso diversa dalle altre insegnanti, sola, non accettata). · Rendere protagonista il bambino, dipende moltissimo da noi adulti. Nel dialogo tra genitori e insegnanti la relazione è troppo spesso solo tra adulti. Si parla “del” bambino ma lui non è il protagonista. Si parla “sulla” bambina, ma lei non è la protagonista. · I bambini mettono in crisi gli adulti. E’ qualcosa che troppo spesso ci nascondiamo. Ci sono bambini che fanno cose che non ci piacciono in modo difficile da controllare. I bambini fanno rumore e la nostra soglia di sopportazione del rumore può essere bassa. I bambini si muovono e il movimento attorno a noi può innervosirci più di quanto vorremmo ammettere. Ci sono bambini aggressivi, ci sono bambini passivi o piagnucoloni. “Amare” i bambini non è facile e troppo spesso è solo teoria. · Per un bambino sentirsi accolto nella sua interezza significa sentirsi accettato. E’ la base per poter lavorare serenamente alla strutturazione della propria identità di persona. Non possiamo tirarci indietro, sottrarci. · Per questo i piccoli hanno diritto a godersi le proprie diversità senza che queste suscitino stupori. Questa è la chiave per comprendere la necessità dell’informazione sull’adozione. Non si tratta di affrontare l’ennesimo corso che piove sulla testa delle insegnanti, bensì si tratta di essere informati su realtà che altrimenti ci sono nuove e quindi abbiamo difficoltà a comprendere nella loro interezza. · Noi adulti (spesso gli insegnanti) siamo vittime di stereotipi. Ci facciamo delle idee della realtà. Crediamo di sapere sempre dove si va a parare. In effetti lo stereotipo, il modello pregresso aiuta a imparare e controllare gli eventi. Tuttavia dagli stereotipi gemmano i pregiudizi. · Un pregiudizio è la somma di idee che ci portiamo dietro rispetto al bambino straniero. I bambini adottati internazionalmente vengono spesso pensati come un sottotipo dei bambini immigrati. E’ immediato attivarsi secondo gli schemi dell’accoglienza interculturale e certamente alcuni progetti tipici dell’intercultura possono essere utilissimi (la sensibilità alle differenze somatiche e geografiche per esempio), tuttavia i bambini vengono inevitabilmente percepiti come “provenienti” da lontano. La loro origine è ineludibile e può schiacciare il loro presente. · Bambini portatori di problemi: in classe rallentano il programma, difficoltà linguistiche, ecc. Questo è il pregiudizio verso i bambini che parlano ancora una lingua di transito. · I bambini adottati piccolissimi non hanno altra storia che quella dei genitori adottivi. Non si prevede che possano attraversare fasi di ripensamento sulle proprie origini. Le origini del bambino adottato verrebbero comunque volentieri ignorate in classe, quando irrompono creano disagio. · Il tabù è l’abbandono, la domanda frequente è: Ma perché dei bambini magari adottati alla nascita debbono ripensare al fatto che sono stati abbandonati? E’ acqua passata … · Accorgersi delle stereotipie, liberarsi dai pregiudizi: un lavoro continuo per l’insegnante. · Come farlo? Non è facile e su questo le insegnanti si interrogano molto. · Sembra scontato dirlo, ma va ripetuto: Si parte dall’amore verso i bambini. I bambini debbono piacere anche nelle loro modalità fastidiose. |
fattispecie essere adottati. Un sapere che funziona se passato attraverso il confronto e la
collaborazione, la rete, il fare associazione.
Nel mese di maggio del 2008, il punto informativo di Terni ha messo a punto una serie di incontri dedicati agli insegnanti sul tema Scuola e Adozione. Gli incontri sono stati 4. Oltre all’associazione stessa hanno contribuito agli incontri il dottor Monetti (Dirigente Scolastico Provinciale), il dottor Del Cornò (Dirigente Provinciale di Terni), la dott.sa M. Farinelli (Servizio Territoriale Adozioni), la dott.sa V. Farinelli (Servizio Territoriale Adozioni), la dott.sa Lombardi (psicologa), la dott.sa Bellanca (Servizio Territoriale Adozioni), la dott.sa Brizzi (insegnante), la dott.sa Leonori (Servizio Territoriale Adozioni), la dott.sa Cornacchia (dirigente scolastico), la dott.sa Listanti (pedagogista) e la dott.sa Fioretti (dirigente scolastico).
Hanno collaborato per questi incontri: l’associazione Genitori si diventa onlus, USP Terni, Provincia di Terni, Comune di Terni e Servizio Territoriale Adozioni di Terni.
Se volete condividere le vostre riflessioni su questo materiale, offrire suggerimenti o altro potete scrivere a scuola@genitorisidiventa.org.
Potete trovare molto altro materiale dedicato al tema Scuola e Adozione sul portale dell’associazione Genitori si diventa onlus, www.genitorisidiventa.org .
Cominciamo con il testo del discorso introduttivo di Anna Guerrieri, vicepresidente dell’associazione.
Parlare di scuola e adozione all’interno di un’associazione famigliare, tra genitori, con gli insegnanti significa:
Il dialogo è anche un impegno all’ascolto.
Rendere protagonista il bambino, dipende moltissimo da noi adulti. Nel dialogo tra genitori e insegnanti la relazione è troppo spesso solo tra adulti. Si parla “del” bambino ma lui non è il protagonista. Si parla “sulla” bambina, ma lei non è la protagonista:
E’ importante, da genitori, essere sinceri con sé stessi:
Vedere i bambini per come sono, vederne le risorse e le reali fragilità: questo è il compito degli adulti, genitori e insegnanti.
Accorgersi delle stereotipie, liberarsi dai pregiudizi: un lavoro continuo per l’insegnante.
Come farlo? Non è facile e su questo le insegnanti si interrogano molto.
Sembra scontato dirlo, ma va ripetuto: Si parte dall’amore verso i bambini. I bambini debbono piacere anche nelle loro modalità fastidiose.
E poi serve la competenza, frutto della consapevolezza. Il sapere cosa significa, nella fattispecie essere adottati. Un sapere che funziona se passato attraverso il confronto e la collaborazione, la rete, il fare associazione.
Cosa è bene che sappia un insegnante rispetto all’adozione? Deve sapere che il bambino sta elaborando 4 genitori, un vero lavoro.
Sapere non significa che l’insegnante sia chiamato a “dire”, certamente non a fare “lezioni”.
Sapere permette di rispettare il passato, sapere significa comprendere che il bambino non è identificato esclusivamente con la famiglia adottiva. Sapere significa riconoscere la fatica che il bambino sta facendo: appartenere a qualcuno dovendo entrare in una famiglia estranea.
Il gruppo classe non tollera il mistero … Qualsiasi segreto e non detto crescerà e scoppierà prima o poi. Tenere semi-nascosta l’adozione di un piccolo allievo, viverla con imbarazzo, fare lezioni sull’adozione quando il bambino è assente, chiedere ai compagni di non parlare di questo al bambino stesso, è la strada aperta per la nascita di turbamenti e problemi.
Bisogna comprendere che la classe è un mondo di relazioni. Non esiste solo il singolo bambino ma ogni bambino è in relazione agli altri.
I bambini notano ogni aspetto del reale: è normale che le fattezze somatiche diverse sollecitino reazioni.
I bambini reagiscono molto più ai nostri imbarazzi di adulti e ai nostri non detti che alle lezioni che noi gli impartiamo. I bambini pongono domande, i nostri silenzi sono peggio di una risposta immediata, poco precisa, ma sincera e rassicurante.
Quello che conta è la dinamica delle relazioni e degli affetti che si determinano in classe: grazie a quella tutto può essere affrontato in classe.
Il bambino che non si “dice” va rispettato: Nessuno può diventare strumento didattico per impartire lezioni sull’adozione.
Le insegnanti vedono i nostri figli in contesti diversi dalla classe, la loro opinione non va vista come inesatta o nemica, è solo un altro tassello di quello che sono i nostri figli.
L’apprendimento avviene sempre nella gioia e nel desiderio,difficilmente solo nella costrizione.
Insegniamo ai nostri figli l’amore e la fiducia che ci sentiamo dentro (fiducia in loro, nelle persone, nella vita), daremo loro una forza capace di sostenerli.
Scuola e adozione: il punto di vista di Genitori si diventa.
Il contesto di riferimento
Numerosa ormai è la presenza, nelle aule scolastiche, di bambini adottati
nazionalmente ed internazionalmente. I dati parlano di 3185 adozioni
internazionali nel 2006. Queste ultime registrano una crescita del 12% rispetto
al 2005 ed un trend costante: dal 2000, infatti, in Italia sono entrati oltre 15
mila minori. A queste vanno aggiunte un migliaio circa di adozioni nazionali
ogni anno.
La maggior parte di questi bambini ha almeno 3 anni e le famiglie si trovano
presto a inserire i figli in una classe di scuola dell’infanzia o primaria.
Per bambini provenienti da realtà tanto diverse, con alle spalle storie dove
maltrattamenti, difficoltà e violenze sono state fin troppo parte della
quotidianità, storie comunque sempre caratterizzate dalla precarietà e
dall’istituzionalizzazione, il contesto della scuola è tanto ricco di potenzialità,
quanto pieno di rischi. E’ importante che gli operatori della scuola si impegnino
a strutturare una didattica in grado di garantirne l’inserimento sereno
armonizzando le loro storie con quelle del resto della classe.
Una recente indagine condotta dalla Commissione per le adozioni
internazionali (CAI) si è occupata del tema dell’inserimento scolastico dei
bambini arrivati per adozione internazionale. Tra i risultati è emerso che ben il
48% dei docenti si ritiene poco o per niente preparato ad affrontare i relativi
problemi, e ben il 40% degli stessi docenti ritiene indispensabile l’apporto di
aiuti esterni (personale di sostegno, équipe psico-pedagogica, assistenti
sociali, mediatori culturali). Il dato è almeno allarmante, soprattutto perché
pensare di risolvere i problemi educativi con supporti di “sostegno” può
diventare di fatto un delegare ad altri compiti che invece sono propri
dell’insegnante. E’ certamente una tendenza motivata spesso dalla paura di
non sentirsi all’altezza del compito che, pur se comprensibile sul piano umano,
è da modificare. Il bambino arrivato attraverso l’adozione vuole e deve vivere
la sua esperienza scolastica con il massimo grado di coinvolgimento nella
classe e nella scuola; questa opportunità deve essere concessa al bambino
adottato senza che qualcuno lo porti a pensare di non essere come gli altri.
Le associazioni e le istituzioni che si confrontano con le famiglie adottive
raccolgono spesso segnali di disagio sui rapporti scuola-famiglia. Gli stessi
segnali di disagio provengono anche dagli operatori della scuola specialmente
quando si hanno in classe uno o più bambini provenienti da una adozione.
Talvolta sono disagi dovuti ad un dialogo, tra genitori ed insegnanti,
complicato dal non comprendersi a vicenda. Come associazione di famiglie
crediamo sia importantissimo agevolare il dialogo e la cooperazione tra adulti
(genitori e operatori della scuola) a sostegno dei bambini.
Che fare?
Conoscere questa realtà è infatti il primo essenziale passo da compiere
se si vuole trovare il giusto modo per accogliere tanto il bambino
adottivo che la sua famiglia. E’ necessario diffondere la consapevolezza
che esiste una “specificità dell’adozione” dalla quale scaturisce
inevitabilmente il bisogno di approfondimento e di “investimento” . Tale
consapevolezza potrà accompagnare – integrandosi – il normale
percorso didattico dell’insegnate. E’ fondamentale per esempio essere
consci che il bambino adottato internazionalmente è solo
apparentemente simile al bambino immigrato. Tanti problemi in classe
sopravvengono soprattutto a causa di questa confusione che porta a
percepire i bambini adottati internazionalmente (come anche le seconde
generazioni figlie dell’immigrazione) un po’ “stranieri per sempre”.
Altrettanto importante è riflettere sull’impossibilità di usare griglie
“precostituite” ogniqualvolta si affronti il tema della storia personale.
Non si può affrontare il tema dell’adozione partendo dall’idea di fare
delle lezioni in classe sul tema o di ridurla a una “spiegazione”. Parlare
di adozione significa parlare di abbandono, di desiderio, di amore e di
famiglia. E’ cosa viva, e come tutte le cose vive richiede più ascolto e
attenzioni che spiegazioni.
inseriti bambini adottati (specie se internazionalmente). E’ sempre più
frequente l’uso di insegnanti di sostegno a seguito di dichiarazioni di
handicap a carico dei bambini. E’ ben noto che il più delle volte, nel
caso delle adozioni, non si tratta di handicap intesi in modo tradizionale
bensì delle tappe del difficile cammino di integrazione psico-emotiva cui
i bambini sono sottoposti nel passaggio da un vissuto estremamente
carente alla nuova vita in famiglia. Forse è giunto il momento di
rivedere il concetto stesso di sostegno ampliandolo oltre l’orizzonte
della disabilità certificata dalla medicina scolastica. Si potrebbe allora
immaginare un sostegno linguistico dove necessario, oppure un
sostegno rivolto all’intera classe piuttosto che al singolo bambino.
Gioverebbero di tale revisione tutti quei bambini che si trovano in
un’area di difficoltà difficilmente quantificabile quale quella dei bambini
cosiddetti iperattivi.
italiana. Un bambino adottato internazionalmente, che arriva in Italia già
grandicello, parla una lingua che solo tecnicamente possiamo definire
una lingua madre. Naturalmente molto dipende dal momento in cui il
bambino è stato adottato e dalla sua storia: per quanto tempo è stato in
istituto, se ha avuto modo di passare i primi anni di vita con qualche
famigliare. Ogni bambino è un caso a sé. In ogni caso una lingua appresa
in istituto non è propriamente una lingua materna perché non è una
lingua emotivamente significativa, è una lingua fredda, strumentale,
povera. Non c’è ragione, per il bambino, di conservarla e, infatti, i
bambini stranieri adottivi perdono quasi subito la loro lingua di origine,
è giusto che sia così. Sono figli di genitori italiani, l’italiano sarà la
lingua famigliare, la lingua dell’amore, della propria identità ritrovata.
Tuttavia anche se i bambini dimenticano velocemente la lingua d’origine
e apparentemente imparano subito l’italiano, ci vorranno anni prima che
si possa dare veramente per acquisita la nuova lingua. Non sarà un
processo semplice e lineare: è stato calcolato che dopo un rapido
apprendimento di un livello che si può definire strumentale, ci vogliono
molti anni affinché si apprenda veramente una lingua. Non si tratta di
semplici difficoltà ad apprendere un’altra lingua, a sovrapporre o ad
affiancare una struttura linguistica ad un’altra, difficoltà che possono
essere comuni tra i bambini stranieri. Nel caso dei bambini adottivi si
tratta di difficoltà legate ad una sfera più profonda, laddove le carenze
di cura hanno provocato delle carenze cognitive e affettive che si
riflettono nella sfera del linguaggio. L’acquisizione e l’abilità espressiva
dell’italiano, quindi, andranno di pari passo con l’acquisizione di una
maggiore sicurezza emotiva. Le insegnanti possono aiutare molto questi
bambini se avranno la pazienza e la costanza di ascoltare le loro
difficoltà comprendendone l’origine.
famiglie per adozione e famiglie multicolori. A tutt’oggi c’è una grande
penuria di riferimenti all’adozione nei testi destinati alla scuola primaria
prodotti dalle maggiori case editrici. Anche quando si riscontrano i
riferimenti spesso la parola adozione viene affiancata alla parola
adozione a distanza, o comunque associata all’idea di una buona azione.
Con difficoltà l’adozione è considerata semplicemente come uno dei
modi per diventare famiglia; questo soprattutto perché spesso gli adulti
esitano a parlare di quello che viene prima dell’adozione: l’abbandono.
“Succede così che un bimbo od una bimba adottivi non trovino alcun
riferimento alla propria realtà nei libri che utilizzano a scuola. Allo
stesso modo accade che il maestro o la maestra che desiderino in
qualche modo supplire a tale carenza non possano che far ricorso alla
propria fantasia ed inventiva o che, più semplicemente, non sapendo che
fare, decidano di accantonare il discorso”. (Guerrieri, Odorisio 2003).
Per farlo sarebbe necessario …
i genitori. Sarebbero gestiti da insegnanti che abbiano avuto esperienze
in quest’area e che abbiano vissuto momenti di preparazione sul tema.
Cosa può dare l’associazionismo famigliare?
operatori pronti ad intervenire sulle tematiche (psicologi, psicopedagogisti), raccogliendo il materiale che viene prodotto(soprattutto quello che viene prodotto dagli insegnanti coinvolti nei laboratori) e mettendolo a disposizione sul nostro portale www.genitorisidiventa.org, usando il primo volume della nostra Collana Editoriale dedicato proprio alla Scuola (Edizioni ETS).
scuola mettendoci a disposizione per progetti sulla scrittura di nuovi
testi per la scuola dell’infanzia, primaria e secondaria.
nostre sezioni territoriali o in collaborazione con circoli scolastici (come
accade a L’Aquila). Riteniamo sia importante fornire alle famiglie gli
strumenti di riflessione per poter comprendere le mille complesse realtà
della scuola.
di documentazione) per insegnanti e per genitori. Questa è una realtà già
attiva sul nostro portale www.genitorisidiventa.org
Allegato 8
AL CENTRO del FIORE
L’impatto con la scuola, per una famiglia che ha adottato un bambino,genera diversi punti di criticità. Si tratta spesso di famiglie neo-costituite, con scarsa esperienza del mondo della scuola;i figli adottivi sono bambini provenienti da realtà complesse con alle spalle sto rie precarie e difficili;l’inserimento scolastico frequentemente non è graduale ma precipitoso,al secondo o terzo anno di scuola dell’infanzia o ai primi anni della primaria con bambini arrivati da pochissimo
in Italia.
I genitori possono avere aspettative irrealistiche o timori eccessivi su quello che il loro bambino,
o bambina,dovrebbe ottenere a scuola. Gli insegnanti possono avere esigenze (di tipo didattico-
pedagogico) incomprese dalle famiglie. Per partire con il piede giusto nel percorso scolastico
è importante cercare di conoscersi e comprendersi a vicenda,genitori e insegnanti.
Per gli insegnanti,in particolare,si tratta di “camminare” dentro al mondo dell ’adozione, di scoprirne le “ parole”.
Attraverso queste riflessioni,che nascono dal nostro lavoro con gli insegnanti e con le famiglie in
quanto membri delle associazioni “Genitori si diventa onlus”e “Genitori Che”,vogliamo portare il nostro contributo.
STRATEGIE DI ACCOGLIENZA
Le strategie di accoglienza devono essere s e m p l i ci e dettate dal buon senso senza, per
questo, essere semplicistiche o rispondenti a griglie rigidamente pre-costituite. Sarebbe
importante se la scuola riuscisse a prevedere l’esistenza della “famiglia adottiva” e non trovarsi
a fronteggiare precipitosamente il problema solo quando si presenta.
Nella didattica quotidiana si fa spesso riferimento al concetto di famiglia: sarebbe importante,
in questi casi, riferirsi anche alla famiglia adottiva. In questo modo si creerebbe lo spazio mentale nei bambini per prevedere la possibilità delle famiglie adottive, agevolando così l’accoglienza di un futuro compagno o compagna adottati .
La criticità sta nel saper distinguere “l ’adozione”dai concetti di “buona azione” e di “c ari
t à ”. Spesso, parlando di adozione si pensa a un gesto “d’a m o re ” di due adulti nei confronti
ti di un “bambino sfortunato”. In re al t à , l’adozione scaturisce dal desiderio di due adulti di
diventare genitori rendendosi disponibili verso bambini che vivono in stato di abbandono.
ASCOLTARE L’ABBANDONO
Parlare di adozione significa fare i conti con quello che la rende necessaria e inevitabile:
l’abbandono. Sono tanti i motivi dell’abbandono e non è bene ricorrere a facili giustificazioni
quali la povertà e le guerre. I motivi sono molto più complessi, sono tutti degli adulti e
non c’entrano niente con la realtà dei piccoli.
In classe è bene non avventurarsi in ipotesi sui perché dell’abbandono, p i u t tosto è necessario dare ascolto ai bambini e alle loro preoccupazioni. Non si t ratta mai di dover “fare lezioni ” sull ’adozione e sull ’abbandono; per un insegnante è molto più importante “sa p e re ” che cosa “d i re ”. Sapere, in questo caso, significa ri s p e t t a re il passato del bambino adottato, comprende re che non è solamente identificato con la famiglia adottiva, ma che in lui c’è la presenza anche della famiglia di origine.
In ogni figlio adottivo c’è un “ prima” e un “dopo”e tra questi il ponte è l’a d o z i o n e. Non ha
senso dunque chiedersi quali siano i “genitori veri ” di un figlio adottivo. Quando si fa nascere e soprattutto quando si accoglie, si ama, sicura un bambino e lo si accompagna verso l’età adulta si è sempre genitori e basta.
Ci sono stati dei “genitori di prima ” che ora non sono più accanto al bambino; sono le sue radici , le sue ori g i n i , gli hanno donato il proprio codice genetico. Sono stati genitori un tempo, ora il bambino ha altri genitori che gli sono accanto. Queste sono le parole che possono aiutare un’ insegnante a rispondere alle legittime domande dei bambini una volta che emerga il tema dell’adozione e dell’abbandono.
LA STORIA PERSONALE
Di solito, nel primo o nel secondo anno della scuola primaria, s’inizia a insegnare ai bambini
il concetto dello scorrere del tempo partendo dalla sto ria personale.
È importante : avvertire per tempo la fa m i g l i a di quello che verrà fatto ; rispettare il desiderio
dei bambini di raccontarsi o viceversa di non raccontarsi affatto ; m a nt e n e re i progetti sul tempo nel modo più flessibile possibile. I bambini possono essere in fasi diverse di consapevolezza sulla propria adozione: alcuni potrebbero avere un rifiuto tale e ostinarsi a voler credere che non sia accaduta; altri potrebbero averne già parlato in classe con i compagni e non ave re timori oppure
potrebbero non voler rimarcare una diversità pubblicamente. Alcuni potrebbero avere una
famiglia in grado di sostenerli o una famiglia che invece entra in crisi , i casi e le possibilità
sono tante.
UN FIORE:ALBERO GENEALOGICO ALTERNATIVO
1. Disegnare un disco con al centro il nome del bambino.
2. Disegnare attorno al disco altri settori distribuiti ad anello.
3. Un settore è per i genitori, uno per i nonni, uno per i fratelli e le sorelle, uno per gli zii e i cugini e uno per le persone importanti della propria vita.
4. Qualche settore (petalo) può restare vuoto (non tutti hanno fratelli o sorelle), ma qualcos’altro può riempirsi a sorpresa con il nome di una madre d’origine, o di una famiglia affidataria.
RE
ALCUNI SUGGERIMENTI OPERATIVI
Presentiamo ora al cune possibili strategie verificate sul campo assieme agli insegnanti .
I mondi dei bambini. A ogni bambino viene chiesto di procurarsi una scatola o un contenitore che poi decorerà completamente.
Questa scatola è il suo “ mondo”. L’esterno sarà dipinto e manipolato con cartapesta, stoffe ,
colori e materiali a scelta del bambino.
D e nt ro a ogni scatola sa ranno poi deposti oggetti personali legati a momenti import a nt i
del passato del bambino.
aQuando ognuno ha completato il suo lavoro ci deve essere un momento in classe per raccontarsi .
La storia recente. Per agevola re l’abitudine a storicizza re gli eventi è possibile part i re con
micro -progetti sulla storia trascorsa a scuola.
Non si chiede quindi ai bambini di part i re da sé, ma dai ricordi dell ’anno prima . Racconti,
foto, disegni riguardano non il privato famigliare, bensì momenti di classe.
La striscia della vita. Se il lavo ro che si vu o le impostare prevede una segmentazione degli
anni di vita dei bambini, è opportuno lasci are massima libertà a tutti, dunque non solo
al bambino adottato, di inserire le foto, i disegni o gli oggetti che preferisce, anche se questo può significare una iper- produzione negli anni in cui il bambino conserva più materiale (presumibilmente da quando è con la famiglia) e una minore concentrazione negli anni in cui il bambino era solo in istituto. Sulla fase iniziale ogni bambino è libero di inserire ciò che desidera.
L’albero genealogico.
È uno strumento difficile pro p rio perché sempre più bambini provengono da famiglie non standard. Per chi è adottato ci sono varie difficoltà . Si inserisce solo la famiglia di ora, o si fa spazio anche a quello di prima?
La parola “genealogico”contiene in sé il germe della parola “generare” eppure un figlio adottivo
non è generato dai suoi genitori. Suggeriamo dunque, in questo caso, qualcosa di radicalmente
diverso (vedi box a pagina 24).
Le foto (o “qualcosa di me”). È importante, infine, tener presente che non sempre è possibile
chiedere a un bambino adottato di portare a scuola foto di quando è nato, oppure di quando la mamma era incinta , semplicemente perché queste foto o non ci sono o fanno riferimento
a un passato che ha bisogno di rielaborazione. La soluzione migliore è lasciar liberi i bambini di portare “qualcosa di quando erano piccoli”, qualcosa scelto da loro. A l t ro accorgimento è quello
di lavora re attraverso i disegni piuttosto che attraverso le foto. Certe foto del passato narrano
di realtà che i bambini desiderano tenere per sé (per esempio istituti particolarmente
degradati o che comunque immediatamente pongono il bambino adottato su un piano diverso rispetto ai compagni). Un disegno, invece , è una produzione creativa personalizzata che facilmente una bambina o un bambino possono condividere coi compagni.
Monya Ferritti e Anna Guerrieri
GenitoriChe e Genitori si diventa onlus
PER SA P E R NE DIIÙ
S I RAPPORTI SCUOLA- FAMIGLIA
I rapporti scuola- famiglia
I rapporti tra scuola e famiglie adottive non sono sempre sereni. Ne parliamo con Francesco Ottonello di Batya, associazione di genitori adottivi impegnata anche nel dialogo con gli insegnanti
(www.batya.it).
D. Quali sono le preoccupazioni che i genitori adottivi nutrono
quando i loro figli vanno a scuola?
R. La scuola è un’istituzione e i genitori adottivi, nel loro percorso, non hanno quasi mai facilità di rapporto con le istituzioni:così temono di ritrovarsi in situazioni già vissute, temono il “ muro
di gomma”. Ci sono le paure legate alla “diversità”del proprio figlio e il timore che soffra per i pregiudizi. Ma l’ansia maggiore riguarda il ri s p e t to del vissuto del bambino, tanto della sua cultura di provenienza quanto del fatto che un adottato non è omologabile a un alunno extracomunitario. È capitato il caso di una bambina indiana adottata da piccola: anni dopo, in prima elementare, si è vista assegnare un mediatore culturale indiano…
D. A vostro pare re la scuola è impreparata ad affrontare le realtà
dell’adozione, peraltro in aumento?
Nonostante i progressi, c’è tanta strada ancora da fare. Credo che oggi non si possa più parlare di “ normalità” e di “diversità” ma di “ normali diversità”, tanti sono i casi che si discostano dalla
famiglia-tipo alla quale continuiamo a guardare. Sicuramente la categoria “bambino adottato” oggi è ormai “sdoganata” nel senso di “accettata”. Dico “la categoria”:ma è differente se si parla dei singoli casi. Ogni caso è una vicenda a sé, fatta di parole e di silenzi. Per esempio,una materia molto temuta dai genitori adottivi è la storia: inevitabilmente ogni bambino “deve” raccontare la sua. Spesso la scuola non sa rappresentare la sto ria individuale come sto ria complessa: t al volta i mondi affettivi sono più di uno e non sempre c’é un solo punto di partenza. Ci sono anche le
ripartenze.
Carla Ida Salviati
DOVE TROVARE AIUTO
L’associazione Genitori si diventa – onlus promuove campagne di sensibilizzazione e informazione sulle realtà dei bambini in stato di abbandono.
Fornisce alle coppie che desiderano adottare o che già hanno figli una rete di sostegno strutturata attraverso gruppi di mutuo aiuto pre-adottivi e post-adottivi. Lavora sulla prevenzione del disagio famigliare e del fallimento adottivo. Si occupa in particolare di t ematiche relative alla scuola.
Per informazioni:www. genitorisidiventa. org;
e- mail: scuola@ genitorisidiventa. org
GenitoriChe è un’associazione senza fini di lucro che intende promuovere e diffondere azioni che abbiano un impatto sul miglioramento delle condizioni di vita dei minori a livello locale e internazionale.
Opera nel settore delle adozioni facendo informazione;in particolare sui temi relativi alle relazioni famigliari, alla costruzione dei legami e alla nascita della famiglia adottiva. All’interno del sito, nello spazio “ Vivere l’adozione” e
nello spazio del forum ospita articoli e discussioni sul tema delle adozioni utili a genitori e insegnanti.
Per informazioni:www. genitoriche. org
Estratto dal libro: A scuola di adozione di Anna Guerrieri e Maria LindaOdorisio
Argomento: Scuola
L’atto
di apprendere è un atto gioioso, è la scoperta di qualcosa di ignoto e
meraviglioso che vale la pena di ricordare per sempre. Apprendere è una
ricchezza ed un lusso. Per poterlo fare bisogna avere dentro di sé uno
spazio da riempire in serenità, un luogo tranquillo e sicuro dove
immagazzinare notizie. Per imparare bisogna avere una certa sicurezza di
sé, che permette di guardare, osservare, ascoltare e raccontare a
qualcun altro, qualcuno che ascolterà amorevolmente, che sorriderà
orgoglioso a quello che il bambino racconta. Per imparare bisogna saper
amare e per amare bisogna avere la certezza di essere amati. Questi
spazi interni di quiete e sicurezza talvolta mancano ai bambini
adottivi. Dentro di loro alberga un’inquietudine diffusa, il silenzio è
sinonimo di vuoto e di solitudine, tutto è meglio che stare soli con sé
stessi perché esser soli significa abbandono. Ci sono bambini che
sembrano essere in perpetuo movimento, come fossero agitati da un rumore
di fondo che li spinge a mettersi sempre al centro dell’attenzione, a
evitare il contatto con i momenti di quiete ed ascolto. Può capitare che
i bambini adottati soffrano di disturbi specifici di apprendimento
dovuti a carenze affettive e nutritive subite nella prima infanzia o
anche dovute al fatto che nelle fasi della gravidanza le madri abbiano
abusato di alcol o sostanze stupefacenti. Tuttavia in generale le
difficoltà di apprendimento che si riscontrano sono più spesso dovute
alla fatica emotiva dei bambini e dei ragazzi e alla loro complessa vita
interiore.
Moto perpetuo.
Inquietudine, rumore, agitazione:
quanti figli adottivi vivono questa dimensione? Quanto può essere
faticoso in classe? Si tratta di insicurezze, di una difficoltà a
fermarsi, ma si tratta anche di un’effettiva difficoltà ad ascoltare
perché i primi anni della propria vita li si è vissuti soprattutto in
gruppo, confrontandosi tra pari e non guardando ad un adulto di
riferimento. Le parole fuggono via quasi incomprensibili, ci si sente
incapaci di seguire il flusso della classe e allora ci si sottrae, col
rumore o col silenzio, è indifferente. Il risultato sarà comunque una
difficoltà a concentrarsi e a realizzare il lavoro che viene proposto
dagli insegnanti. Può sembrare una continua voglia di esibizionismo
gioioso il perpetuo agitarsi di qualcuno. Ma forse tanta gioia non c’è,
c’è piuttosto la paura di fermarsi e trovarsi persi in un vuoto, c’è la
paura di confrontarsi e scoprirsi perdenti, di non piacersi perché non
si è piaciuti a qualcuno all’inizio. Con il loro agire fisico i bambini
“parlano” di sé, delle loro ansie, delle paure, ci comunicano le loro
emozioni profonde ed indicibili a parole. Ci rivelano anche le strategie
che per loro sono state utili in passato, nelle storie che hanno
affrontato prima. Quello che turba noi adesso, che ci sembra fuori
scala, sorprendente, magari prima era utile, sensato e consono.
L’appropriarsi di oggetti (quello che noi diciamo “rubare”) oltre a
segnalare la necessità di riempire un vuoto, in una vita precedente
poteva essere importante alla sopravvivenza. L’agitazione continua
poteva essere una maniera utile per catturare l’attenzione di un adulto,
o per sfuggire a regole opprimenti, o per dimenticare qualcosa che
faceva troppo male ricordare. Spesso noi adulti percepiamo gli agiti
“fastidiosi” dei bambini come i sintomi di un disagio, sintomi che
debbono essere solo perseguiti ed eliminati. Dovremmo chiederci però,
prima di intervenire, prima di etichettare un comportamento, quale
funzione abbia per il bambino quel comportamento: un’autodifesa? una
compensazione? una rassicurazione? un modo di dirsi? Solo interrogandoci
sui significati (anche lontani nel tempo) abbiamo la speranza di
riuscire a capire quello che i bambini ci comunicano e di riuscire a
gestire al meglio anche i comportamenti più complessi.
Emozioni incontenibili.
Un
bambino o una bambina che sono stati lasciati soli e che sono stati
istituzionalizzati non sono stati mai abbastanza contenuti da braccia
sicure e calde. Mancano loro le sensazioni di limite emotivo e corporeo,
non è un caso che le loro età anagrafiche ed emotive siano spesso
seccamente discrepanti. Manca loro la capacità di controllare emozioni e
frustrazioni, una rabbia e un’insoddisfazione può sconvolgere il loro
mondo portandoli ad un parossismo d’ira difficile da immaginare. Come se
una volta aperta una porta su un’emozione fosse difficile richiuderla,
come se mancasse la chiave e servisse sempre un adulto a ricondurti alla
tranquillità. Così la rabbia come la gioia, ogni emozione può essere un
canale che rimette in contatto con aree interne che spaventano e non si
riesce a controllare. In classe affiora una difficoltà a comprendere e
rispettare le regole della convivenza. Per di più la figura degli
adulti non è neutra né scontata.
Fiducia.
Di chi ci si può
fidare se a suo tempo si è stati duramente traditi dagli adulti? Le
figure femminili poi sono per certe versi le più difficili di tutte: una
madre è mancata, tante donne (solo donne in genere) erano presenti
negli istituti. Accudenti? Maltrattanti? Non sempre è facile
immaginarlo. La maestra riattiva immagini passate, può far riaffiorare
sfiducia o può suscitare aspettative di grande accudimento. Diventa
difficile per la maestra stessa sentirsi proiettata in un ruolo così
intensamente materno, talvolta viene spontaneo sentire di capire meglio
il bambino della madre stessa anche. Si possono creare così situazioni
complicate da incomprensioni reciproche. Per far sì che i bambini siano
in grado di sentirsi bene a scuola, è necessario fare in modo che sia
possibile parlarsi, ascoltarsi, capirsi tra famiglia e insegnanti,
ricordando che ogni relazione è fatta anche di conflitti e dissensi. E’
un lavoro lungo e richiede pazienza ed è basato sulla fiducia. Prima di
tutto sulla fiducia dei genitori adottivi in sé stessi, in quanto
genitori di quel bambino e di quella bambina li conoscono sicuramente
meglio di chiunque altro: sanno le loro difficoltà, le loro paure e
fragilità ma anche le loro molte risorse, le grandi potenzialità.
Fiducia nei bambini: le loro storie li hanno feriti ma li hanno anche
resi forti. Hanno attraversato l’abbandono, sono sopravvissuti agli
istituti, si sono affidati a due perfetti sconosciuti che ora stanno
imparando ad amare perché sono pieni di voglia di vivere: umanamente
hanno qualità straordinarie. Infine, fiducia nella scuola, nelle persone
che vi lavorano con competenza, dedizione e professionalità; è vero,
non sempre e non tutti, ma i più compiono quotidianamente un lavoro
delicato e difficile ed anche molto solitario.
INSERIMENTO SCOLASTICO
Attualmente, in Italia, non esiste una normativa specifica che regoli l’inserimento scolastico del minore adottato internazionalmente; molti istituti scolastici fanno così riferimento alle indicazioni del Ministero riguardanti i minori stranieri che suggeriscono di collocare il nuovo alunno, dopo averne accertato le competenze, al massimo nella classe inferiore a quella nel quale andrebbe inserito in relazione alla sua età anagrafica.
Anna Oliverio Ferraris, nel libro Il cammino dell’adozionepropone di utilizzare non soltanto la chioma ma anche le radici dell’albero in modo da visualizzare sia il vissuto attuale, nelle fronde, che quello biologico, alla base.
Il bambino al centro del fiore circondato da tanti petali quante le persone per lui importanti .Questa modalità rappresentativa flessibile proposta da Genitori Si Diventa permette di non fare grandi differenze fra il prima e il dopo e di non rimanere vincolati ai rapporti di parentela. Il bambino può accogliere nel fiore tutte le persone per lui importanti.
La ruota dell’Io si discosta dalla metafora dell’albero così come dal vincolo dei legami familiari e, ponendo il bambino al centro, lascia l’alunno libero di inserire in ogni raggio una persona per lui importante.
Come per la Rosa sono sufficienti poche gocce d’acqua per aprirsi e sbocciare, così un bambino abbandonato necessita solo di amore e cure per aprirsi e crescere.
Tempo dedicato esclusivamente al bambino: madre……………………………………………………….. padre……………………………………………………….. Data Le insegnanti |
ALLEGATO N. 13
Progetto “Life Skills Education”
Il progetto “Life Skills Education” nasce come proposta sperimentale e si pone come obiettivo l’ individuazione di itinerari didattici riguardanti la promozione della salute, l’ orientamento e lo sviluppo personale e sociale degli studenti.
Il riferimento centrale del progetto risiede nella proposta internazionale di Life Skills Education, promossa dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità, proposta molto importante per l’ attuazione di interventi e servizi a favore degli studenti, inseriti nei curricoli e quindi nel Piano dell’ offerta formativa ( POF) delle isituzioni scolastiche.
Con il termine “Life Skills” si indicano generalmente una gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali di base che consentono alle persone di operare sia sul piano individuale che sociale.
Agli inizi degli anni ’90 l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le L.S. come “ abilità che consentono di trattare efficacemente con le richieste e le sfide della vita quotidiana” .
Le L.S.,quindi, possono essere considerate come quelle abilità di vita e per la vita.
Nella scuola primaria “L.Barzini” di Orvieto è dal 1999 ( in collaborazione con l’ Università “ La Sapienza” di Roma)che nel POF si predispongono percorsi didattici nei quali vengono ad intrecciarsi abilità disciplinari e relazionali.
Proprio per l’ importanza del “BEN ….. ESSERE “ a scuola, si è ritenuto stimolante inserire nel “Protocollo di accoglienza alunni adottivi “ un percorso didattico, secondo la metodologia Life Skills Education, come proposta di lavoro.
Ins. Laura Nulli
Scuola Primaria “ L.Barzini” Orvieto ( Terni)
e-mail lauranul@alice.it
PRESENTAZIONE DELLA CLASSE
CLASSE INTERESSATA I A SCUOLA PRIMARIA “L. BARZINI” ORVIETO
Prima di descrivere il percorso attuato si deve fare un breve accenno al lavoro svolto in prima, visto che che la classe , formata da 25 alunni ( di cui 13 femmine e 12 maschi ) appariva disomogenea e ogni bambino presentava una storia personale molto particolare.
Infatti erano presenti : bambina adottiva, bambini stranieri ( Cina e Sri Lanka ), bambini con gravi lutti ( morta la madre, il padre o una sorella ), figli di genitori separati .
Inoltre era una classe a tempo pieno, per cui il tempo trascorso a scuola era di otto ore giornaliere e la necessità, quindi, era quella di creare rapporti positivi e un ambiente il più possibile sereno.
SITUAZIONE DI PARTENZA E SCOPI DA RAGGIUNGERE
Situazione di partenza | Scopi da raggiungere |
1)Presenza di alunni con caratteristiche diverse sul piano del comportamento | 1) Costruire una classe in cui ognuno rispetta l’ altro |
2)Scarso rispetto delle regole e difficoltà nell’ ascoltarsi | 2)Rispettare le regole di base della classe |
3)Presenza: una bambina adottiva,alunni stranieri, figli di genitori separati | 3) Favorire un clima collaborativo e non competititvo |
PROGETTAZIONE INTERDISCIPLINARE Classe prima a.s. 2005- 2006
Competenze psico-sociali
Aiutare i bambini a:
Identificare situazioni di conflitto
Riflettere sui modi in cui si affrontano i conflitti di tutti i giorni
AREE DISCIPLINARI | ATTIVITA’ | OBIETTIVO |
AREA LINGUISTICO-ARTISTICO-ESPRESSIVA. | ||
Italiano Brain- stoming : cos’ è un conflitto perché nasce Ascolto e comprensione delle storie con il tema sul conflitto Tempo del cerchio Role-play ( ricoprire ruoli per rappresentare liti e conflitti ) Invenzione di storie partendo dai disegni realizzati dagli alunni stessi avendo come sfondo il tema del conflitto Seguire la narrazione dei testi ascoltati mostrando di saperne cogliere il testo globale Intervenire nel dialogo e nella conversazione in modo adeguato e pertinente Esprimere le proprie emozioni Musica Conversazione tra strumenti musicali: prima un duetto amichevole poi, attraverso un crescendo, arrivare alla lite Saper suonare semplici strumenti ritmici e melodici Inglese Dialogo in lingua per rappresentare un litigio Memorizzare strutture linguistiche | ||
CONTINUITÀ SCUOLA DELL’ INFANZIA E SCUOLA PRIMARIA
Il lavoro scelto per la continuità è stato inerente agli scopi che ci eravamo proposti, così, la lettura della storia “ Il castello di sabbia” seguito da una rielaborazione orale e scritta realizzando un libretto con rappresentazioni grafiche e didascalie e un finale inventato dal gruppo di bambini di cinque e sei anni.
PROGETTAZIONE INTERDISCIPLINARE Classe seconda a. s. 2006-2007
Competenze psico-sociali: Aiutare i bambini a riconoscere la diversità come un arricchimento
AREE DISCIPLINARI | ATTIVITA’ | OBIETTIVO |
Italiano Lettura di testi Produzione di testi narrativi Letture, ricerche su paesi diversi dal nostro ( Cina , Sri Lanka, Ucraina) Interviste ai genitori Conversazioni guidate Letture varie di testi e libri Cos’è un’ intervista Preparazione di domande guida per un’ intervista Temi: Scuola-cibi-tradizioni-religione….) Intervista ai genitori di culture diverse Analisi e discussione delle letture effettuate Realizzazioni di libretti personali (“ I bambini di tutto il mondo” “La mia storia..” Riflessione sulla diversità e sull’ unicità Scrittura individuale di semplici testi | ||
Musica Ascolto di musica Ascoltare brani di musica etnica |
VALUTAZIONE DEL PERCORSO
La ricerca azione “Life Skills Education” ci ha reso consapevole della possibilità di gestire, con strategie specifiche, la parte empatica dell’ apprendimento al fine di creare un ambiente relazionale positivo.
Nei tre anni di lavoro, con questa classe, l’ attenzione è stata rivolta soprattutto,ai bisogni degli alunni e allo “star bene “ dello scolaro come sfondo trasversale a tutti gli interventi.
I risultati si vedono nel tempo, in quanto questo approccio metodologico lavora in profondità, sulle abilità psicosociali.
Definizione | Una modalità di conduzione delle esperienze didattiche nella quale gli studenti assumono un ruolo attivo attraverso la cooperazione tra di loro e ricevono delle valutazioni in base ai risultati conseguiti. Gli studenti lavorano assieme per raggiungere obiettivi di gruppo che non possono essere raggiunti lavorando da soli o in modo competitivo. |
Principi teorici | Due principali prospettive teoriche alla base: q prospettiva motivazionale: sostiene che il CL alimenta la motivazione al lavoro didattico; q prospettiva cognitiva: sottolinea gli effetti del lavoro in gruppo (pensarlo come a una squadra in cui il destino di ogni membro è interconnesso) |
Aspetti motivazionali | Il vantaggio motivazionale deriva dalla struttura delle ricompense e degli obiettivi. Lo studente raggiunge i propri obiettivi soltanto se il gruppo intero li raggiunge, così ognuno incoraggia gli altri verso l’impegno ed il successo. La motivazione di ciascuno diventa patrimonio ed aiuto per gli altri. |
Aspetti cognitivi | Due considerazioni: q la capacità di pensiero critico è accresciuta dal fatto di confrontarsi con gli altri e spiegare agli altri il proprio punto di vista (DIALOGO: imparare ad ascoltare e a disputare le opinioni, sostenendole/motivandole, favorisce lo scambio, la consapevolezza); q la necessità di spiegare agli altri il materiale porta ad una più profonda elaborazione e comprensione dello stesso |
Concetto chiave | L’apprendimento in cooperazione con gli altri conduce ad attivare diversamente le proprie risorse cognitive e motivazionali, rispetto all’apprendimento solitario o in competizione con altri. |
Alcune caratteristiche delle attività | q gli studenti hanno compiti comuni e li svolgono in gruppo q lavorano in sottogruppi q usano un comportamento cooperativo per portare a compimento il loro compito comune q sono interdipendenti: necessitano che gli altri membri del gruppo completino la loro parte q ciascuno di loro è individualmente responsabile nei confronti del lavoro e dell’apprendimento |
Interdipendenza positiva | Esiste se ognuno si rende conto che il proprio successo dipende anche dal successo degli altri (correlazione positiva tra il conseguimento dell’obiettivo di un individuo e quello degli altri). Non è un fenomeno spontaneo, ma deve essere strutturata tramite le attività. Può essere relativa a diversi aspetti: interdipendenza di obiettivi, di risorse, di ruoli, di identità, di compiti, di metodo, di ambienti, di ricompense, di tempo, ecc. (Non è necessario che siano tutte presenti nelle attività di CL) |
Focus interdipendenza positiva | Condizioni per l’interdipendenza positiva: q che ciascuno abbia in mente uno scopo e che comprenda lo sforzo che occorre per superarre le difficoltà q che ognuno si dedichi congiuntamente all’attività prevista, adattando l’azione l’uno all’altro e all’oggetto dell’azione > messa in opera di una forza comune che assicura la realizzazione dell’azione Attenzione a: q disposizione dei banchi q strutturazione del compito q stile comunicativo dell’insegnante q stile di insegnamento dell’insegnante > con questi 4 fattori può predire: q comportamento sociale q comportamento accademico degli alunni |
Responsabilità individuale | Ogni membro del gruppo è responsabile per il lavoro che svolge in seno al gruppo. Dev’essere opportunamente strutturata. q Responsabilità verso l’interno (del gruppo): interviene quando lo studente ha uno specifico ruolo o compito da svolgere q Responsabilità verso l’esterno (del gruppo): esiste quando gli studenti sono chiamati ad una valutazione individuale degli apprendimenti. |
Simultaneità | Si contrappone all’istruzione sequenziale, in cui la comunicazione in classe si svolge da parte di uno studente alla volta. Nel CL i concetti vengono discussi simultaneamente da molte persone. |
Prossimità | E’ necessario che gli studenti siano vicini, abbastanza da vedersi e parlare comodamente. La disposizione dei tavoli deve quindi essere adeguata a questa esigenza. |
Concetto chiave | Nel CL è della massima importanza il fatto che gli studenti siano dipendenti tra di loro, e che ciascuno di essi abbia una responsabilità nel successo o insuccesso del gruppo. Altre caratteristiche di questo approccio sono la prossimità spaziale e la simultaneità della comunicazione in aula. |
Competenze relazionali | Un buon funzionamento del gruppo difficilmente avviene in modo spontaneo, perciò è necessario introdurre gli studenti alle abilità interpersonali (competenza comunicativa, di leadership, di soluzione costruttiva dei conflitti, di problem solving, decisionale – che a loro volta necessitano delle seguenti abilità: saper pensare/trarre delle conclusioni ragionevoli da premesse date; sapersi esprimere = ascoltare/parlare, leggere/scrivere; saper giudicare con pertinenza; saper scegliere). Studenti che non sono abituati al CL potrebbero essere in difficoltà nel lavoro in gruppo responsabilizzato ed interdipendente. Fissare alcune norme di gruppo può essere un modo per promuovere scambi paritari tra i membri. Lavorare nella diversità di stili d’apprendimento, di interessi, di capacità, è una risorsa che può produrre un buon apprendimento, ma solo se gli studenti hanno appreso come sfruttarla. |
Altri vantaggi | Recenti ricerche collegano il CL a diversi tipi di vantaggi: q successo degli studenti q pensiero critico e creativo; risoluzione di problemi q partecipazione attiva all’apprendimento, atteggiamento positivo verso le materie e la scuola q interazione di gruppo e abilità sociali q autostima, migliore equilibrio psicologico, assunzione di ruoli da ‘adulti responsabili’, rispetto reciproco q risposta alle seguenti necessità: creazione di condizioni di vita psicologicamente sane nella scuola, della capacità di ascolto dei bisogni reali degli studenti, di condizioni che favoriscano l’apprendimento tramite innovazioni metodologiche che rendano gli alunni soggetti attivi del processo di apprendimento |
Concetto chiave | Nel CL si sviluppano diverse competenze trasversali legate al lavoro in gruppo, alla comunicazione e ad altre aree. |
Jigsaw | Gli studenti sono dapprima suddivisi in gruppi al fine di approfondire alcune parti del materiale complessivo d’apprendimento, o al fine di svolgere compiti di ricerca. Quando ciascun gruppo ha assimilato la propria parte di materiale, o ha svolto la propria ricerca, i gruppi vengono ristrutturati creandone dei nuovi, in modo che nei nuovi gruppi vi sia un rappresentante di ciascuno dei vecchi gruppi. Se i gruppi originari erano strutturati come: AAAA BBBB CCCC DDDD i nuovi gruppi saranno: ABCD ABCD ABCD ABCD Nei nuovi gruppi si condividono tra i membri i risultati della prima esperienza di gruppo. A conclusione si può attivare una discussione di gruppo, l’elaborazione di qualche prodotto, o un altro tipo di lavoro conclusivo. |
Group investigation (ricerca di gruppo) | Il docente introduce l’unità; successivamente gli studenti discutono le cose apprese e delineano possibili argomenti per ulteriori approfondimenti. A partire da questo materiale, i gruppi si fanno carico del reperimento di informazioni per risolvere alcuni dei dubbi emersi o degli approfondimenti ritenuti necessari. I gruppi possono ulteriormente suddividersi in coppie, terne, oppure si può adottare il lavoro individuale. Ciascun individuo o piccolo gruppo ricerca le cose a lui assegnate, e ne prepara una breve presentazione per il gruppo. Ciascun gruppo condivide i risultati con l’intera classe. Occorre poi discutere ogni presentazione. |
Think-pair-share (condivisione del pensiero in coppia) | Gli studenti sono in coppia con un partner per rispondere ad una domanda o per discutere un argomento, o per commentare un’esperienza. Ogni coppia poi condivide con l’intero gruppo classe le proprie osservazioni. Questa tecnica può servire anche per incoraggiare l’intervento e l’apporto di esperienze da parte di tutti. |
Altre tecniche | Nei materiali e nei siti forniti come approfondimento si possono trovare altre idee. Ogni insegnante può però attivare momenti di CL in base a modalità diverse e creative, rispettando i principi che definiscono i vantaggi del metodo. |
Composizione dei gruppi | I gruppi possono essere composti in modo casuale o strutturato. Preferibile nel nostro caso: un gruppo strutturato > il docente sceglie consapevolmente i componenti di ciascun gruppo, ad es. per promuovere una composizione bilanciata nei gruppi. Il principio è che spesso la diversità è una risorsa da sfruttare. |
Scelta delle tecniche | Ogni insegnante deve scegliere la tecnica più appropriata in base alle caratteristiche degli studenti, al proprio stile, all’oggetto d’apprendimento. |
Altre attenzioni | I ruoli del docente: q Gestore del metodo: in quanto presenta al gruppo le modalità di lavoro e le presidia q Consulente nei lavori in sottogruppo: in quanto è opportuno un suo intervento nei sottogruppi ma non per risolvere i problemi, bensì per ristrutturarli, per dare indicazioni verso la soluzione, per dare feedback. q Esperto di contenuto: in quanto in fase conclusiva deve anche valutare l’apporto dato dai singoli e dai gruppi, fornendo indicazioni di approfondimento, correggendo eventuali errori, rispondendo a domande. Le dimensioni del sottogruppo dovrebbero essere comprese tra due e cinque persone. Il numero dovrebbe aumentare con la complessità del compito. In sottogruppi dovrebbero essere forniti compiti che gli studenti non possono fare con la stessa qualità da soli. I compiti da assegnare al gruppo possono essere di soluzione di problemi, si ricerca, di discussione, di produzione di idee, di formulazione di concetti, di esame di casi o esperienze. Particolarmente significative sono le esperienze di CL nelle quali i diversi sottogruppi lavorano alla realizzazione di un prodotto comune di classe. Non è sempre facile introdurre in un gruppo la cultura della cooperazione, a volte può essere necessario tempo. E’ necessario spesso dare feed-back e supporto sulle abilità interpersonali. Per un apprendimento cooperativo di successo è necessario che vi siano istruzioni chiare, chiare finalità, tempi ben definiti per le attività. E’ anche necessario che ciascun partecipante abbia un ruolo chiaro nel gruppo – facilitatore, colui che prende appunti, portavoce, osservatore, ecc. – e che i ruoli siano frequentemente cambiati. I ruoli presenti devono essere definiti in base al particolare compito del gruppo. |
Concetto chiave | Il CL necessita di molte attenzioni operative per poter funzionare con successo. In particolare occorre curare la numerosità e composizione del gruppo, il ruolo del docente, i compiti da assegnare al gruppo, i ruoli all’interno del gruppo, la chiarezza delle istruzioni date. |
ALLEGATO 14
ADOZIONE E SCUOLA
BIBLIOGRAFIA
CHISTOLINI M. Scuola e Adozione Linee guida e strumenti per operatori , insegnanti, genitori
Ed. Franco Angeli, 2006;
FATIGATI A. Genitori si diventa Riflessioni, esperienze, percorsi per il cammino adottivo.
Ed. Franco Angeli, 2005;
GUERRIERI A., ODORISIO M.L. Oggi a scuola è arrivato un amico Adozione internazionale e
Inserimento scolastico. Armando Editore, 2003;
GUERRIERI A. ODORISIO M.L. A scuola di adozione Piccole strategie di accoglienza
Ed. ETS, 2007;
AUGURIO M. L’adozione tra ragione e sentimento Ed. ETS, 2007 ;
DAVINI, GUERRIERI, IANIGRO Verso l’adozione Casa Editrice Mammeonline, 2006;
MILLOTTI A.G…..e Nicolaj va a scuola: adozione e successo scolastico Ed. Franco Angeli,
2006;
POLLI L. Maestra sai sono stato adottato Piccolo vademecum di sopravvivenza per genitori e
insegnanti, Ed. Mammeonline, 2004;
ALLORO, PAONE, ROSATI Siamo tutti figli adottivi nove unità didattiche per parlarne a
scuola Ed. Rosemberg-Sellier, 2004;
DI RENZO E. Stare bene a scuola si può? La diversità come risorsa Ed. UTET Università, 2006;
BANDINI G. Adozione e formazione Guida pedagogica per genitori , insegnanti ed educatori.
Ed. Fenco Angeli, 2007;
RUBINACCI C., L’inserimento scolastico del minore straniero adottato in stato di adozione
Ed. ANICIA, 2001;
GSD INFORMA Giugno 2006. Notiziario di Genitori si diventa ONLUS interamente dedicato
alla scuola (per ottenerlo basta visitare il sito www.genitori si diventa.org e cercare
nel settore Notiziario mensile);
A SCUOLA DI ADOZIONE
PICCOLE STRATEGIE DI ACCOGLIENZA
Libri per bambini
Si tratta di libri e video per bambini che possono essere usati nella costruzione delle biblioteche e videoteche di classe al fine di poter più naturalmente parlare di adozione
AA.VV. Cento storie meravigliose Fratelli Fabbri Editori;
D.Ball-Simon-S.Boschetti, Fratellino lupo , Nord-Sud Edizioni;
D.De Presentè, Dormì è stato adottato, Motta junior;
M. Hoffmann, La figlia di Dracula, Arnaldo Mondatori, 2004;
ITS Imagical, La famiglia cresce, Immaginarium 2006;
C. Le Picard Leopoldine a des parents des coeur Ed. Albine Michele Jeneusse ;
L.Limoni Guizzino, Bebalibri;
R.Lewis, Una mamma di cuore Arnaldo Mondatori, 2004;
M. Miceli – M. Mustacchi Adottare una stella, Edizione San Paolo
M. Netto Ti racconto l’adozione, UTET Libreria;
G. Pittar Milly e Molly e tanti papà, EDT
L. Sepulveda Storia di una gabbanella e del gatto che le insegnò a volare Guanda 2002;
A. Wilsdorf Fior di giuggiola Ed. Babalibri;
UNICEF Questa è la mia vita Mondatori Edizione italiana a cura di Bianca Pitzorno:
S. Giogi Cavalcando l’arcobaleno Ed. Magi Editore 2003
E. De Ponti La storia di Benedetta Ed. Itaca:
L.Tumiati Cara piccola Huè Ed. Juvenilia;
Marie-Sophie Vermont Ma chi credi di essere? Giunti Junior
VIDEO
Alcuni video o DVD affrontano con delicatezza i temi dei bambini che restano soli e del loro essere accolti in una famiglia:
Dinosauri, L’era glaciale, La gang del bosco, Peter Pan, Pinocchio, Tartan, Il libro della giungla 1 e 2, Bianca e Bernie, Little Stuart 1 e 2, Il bosco delle betulle.
SITOGRAFIA
Sono elencati siti – istituzionali e di associazioni che si occupano di adozione – che contengono sezioni o singoli documenti afferenti alla tematica “Scuola e adozione” o che contengono materiali sulle problematiche connesse all’adozione che potrebbero risultare utili per gli insegnanti.
SITI ISTITUZIONALI
Sito della CAI (Commissione per le Adozioni Internazionali). Contiene i riferimenti normativi,
l’indicazione delle procedure per l’adozione e tutti i dati relativi alle adozioni internazionali a
partire dall’anno 2000.
Sezione del sito del M.P.I., contiene riferimenti normativi, articoli, indicazione di eventi e
iniziative per insegnanti.
SITI DI ENTI E DI ASSOCIAZIONI DI GENITORI
www.genitoriche.orgContiene:
– Articolo “Adozione: il panorama editoriale rivolto a bambini e ragazzi”
– Una bibliografia sui libri per bambini e ragazzi che trattano di adozione
Autore Livia Botta
www.genitorisidiventa.org Contiene:
– Una sezione con contributi su varie tematiche tra le quali l’inserimento a scuola
– Il numero di giugno 2006 del Notiziario GSD Informa interamente dedicato alla scuola
www.genitorisidiventa.org/giornalini/16_nl_giugno_2006.pdf
ALTRI MATERIALI REPERIBILI IN INTERNET
Wiki di una studentessa che sta realizzando una tesi di laurea dal titolo “L’adozione internazionale a
scuola”.
Traduzione italiana di una “Guida per l’insegnante” tratta dal sito canadese www.familyhelper.net
Sintesi del convegno: A scuola con la mia storia – Adozione e inserimento scolastico